L’ambizione di Accadia e la rinascita dei borghi

In piena discussione critica sul borghismo, cioè sul rilancio dei piccoli borghi, sul se e sul come metterci le mani, Accadia ci riprova. Prima della pandemia, il paese del foggiano famoso per i Fossi, il rione di epoca medievale, semidistrutto dal terremoto del 1930 e mai riabitato, chiamò a raccolta i sindaci dei Comuni più piccoli e più scarsamente popolati delle regioni vicine e lanciò un appello al governo. Ovvero: ridateci le nostre strade e con esse i nostri servizi, le nostre scuole, i nostri ambulatori; rendeteci raggiungibili, oltre che abbandonabili, poiché buche e frane non fermano le partenze ma inibiscono gli arrivi; e visto che ci siamo, aggiunsero i sindaci, «teletrasportate» anche noi, sarebbe ora, nel terzo millennio delle connessioni veloci e globali. Questo il succo del manifesto. L'idea fu della Fondazione Salvatore, che nel premiare gli alunni più meritevoli del liceo locale, ogni anno suggerisce un tema su cui discutere.

Ma era ieri, appunto, quando si ragionava in astratto sui borghi abbandonati intesi non più come problema, ma come opportunità quando urbanisti e sociologi scommettevano sulla possibilità di «ricentralizzare il margine», cioè la periferia del Paese; e quando si pensava che i vuoti urbani avrebbero automaticamente portato vantaggi alle campagne e alle zone interne (Riabitare l'Italia, a cura di Antonio De Rossi, Donzelli). Oggi, invece, con i finanziamenti dei piani europei siamo già in un'altra dimensione. Paradossalmente, più problematica. Non più di idee si parla, ma di progetti approvati e da realizzare entro il 2026. Il progetto di Accadia, ad esempio, è stato selezionato dalla regione Puglia per il contributo più consistente, quello di 20 milioni. Avrà effetti sull'intero sub Appennino Dauno, racconta il sindaco De Paolis. Prevede un albergo diffuso, spazi espositivi e per grandi eventi («il modello sono i matrimoni holliwoodiani di Bernarda, il paese lucano di Francis Ford Coppola») e l'antica basilica, di cui restano praticamente solo le fondamenta, sarà ricostruita come quella di Siponto, simbolicamente, appena tratteggiata grazie a una leggera rete metallica. Ma a ridosso dei ruderi ci sarà anche una prospettiva «californiana», un insediamento di ricerca sulla diagnostica per immagini che farà perno su competenze internazionali e locali.

Parallelamente, come la Puglia ha scelto Accadia, così la Campania, la Basilicata e la Calabria hanno scelto i progetti dei comuni di Sanza, di Rionero in Vulture e di Geraci. La Fondazione Salvatore ha perciò provveduto a una seconda convocazione. Ed ecco - rilanciata sabato scorso - la nuova proposta: una rete di tutti i Comuni finanziati, anche di quelli a cui sono stati assegnati solo i fondi residui. Se n'è parlato in due confronti coordinati dal giornalista Massimo Milone e dall'urbanista e assessore campano Bruno Discepolo. Perché un'altra rete paraistituzionale? Non solo per una questione tecnico-operativa. Ma soprattutto per una ragione più generale, perché col tempo tutto si complica e anche le soluzioni appena trovate rischiano di rivelarsi insufficienti. La rete di Accadia, dunque, come occasione di arricchimento reciproco e di aggiornamento continuo, in un quadro di scenari che cambiano rapidamente. Oggi, ad esempio, si affermano convincimenti sulle città che solo qualche mese fa sarebbero apparsi fuori luogo. Lo dice in un libro recente lo storico Ben Wilson: le tanto temute città della pandemia sono ora «una soluzione nella lotta contro i cambiamenti climatici, non un pericolo». E questo perché «quelle densamente popolate producono molto meno anidride carbonica degli insediamenti diffusi». Per cui, aggiunge Wilson, sarebbe più opportuno urbanizzare i sobborghi residenziali, renderli «più compatti, più adatti alle funzioni e alla densità dei quartieri centrali». Meglio i sobborghi che i borghi, insomma (Metropolis. Storia della città, la più grande invenzione della specie umana, Il Saggiatore). Ma la prospettiva cambia velocemente anche se il punto di vista è quello opposto, non già della città ma del piccolo centro. Salvaguardare queste realtà è sacrosanto, dicono i critici decrescitisti. Ma attenti - aggiungono - al disegno dei cittadini illuminati e riflessivi che, in cerca di nuove omologazioni, vorrebbero riprodurre ovunque, senza alcun rimando allo spirito dei luoghi, gli stessi polifunzionali senza pubblico, le stesse esedre senza spettacoli e le stesse aree per coworker senza lavoro. Sarebbe borghismo borghese. Ovvero, inautentico, speculativo. (Contro i borghi. Il Belpaese che dimentica i paesi, Donzelli e I paesi invisibili. Manifesto sentimentale e politico per salvare i borghi d'Italia, di Anna Rizzo, Il Saggiatore). Il più delle volte, queste obiezioni sono sollevate da chi tende a identificare l'innovazione con il male assoluto e il turismo con la fine della civiltà. Ma come non tenerne conto, alla luce dei fatti? La questione decisiva, allora, è quella sollevata da Bruno Discepolo. La complessità delle politiche urbane dovrebbe indurre a un cambiamento di passo. Ad esempio, a considerare necessari nuovi assetti di governo del territorio, essendo evidente il caos determinato dalla ripartizione attuale in Comuni di tutte le taglie, Province acefale, Aree metropolitane di discutibile portata, Regioni a statuto speciale, e Regioni in attesa di un'autonomia differenziata che, sebbene in Costituzione, ci si ostina a definire incostituzionale. Bisognerebbe semplificare, razionalizzare, deideologizzare. Ma chi lo fa? Perciò, si va avanti come si può. Come ad Accadia.

Marco Demarco


 

Un articolo di Marco Demarco sul Corriere del Mezzogiorno su una iniziativa della Fondazione Salvatore e Il Sabato delle idee ad Accadia, comune selezionato dalla Regione Puglia per il Bando Borghi del MIC e destinatario di un finanziamento di 20 milioni di euro.

Un occasione per riflettere sulle iniziative per il rilancio dei nostri paesi, per ri-abitare le aree interne.


La locandina della iniziativa