Microcosmi

Claudio Magris
Garzanti, Milano 1997


Viaggiare è un moto relativo tra gli spostamenti che si compiono nello spazio e quelli che avvengono dentro di noi.” Le parole di un altro grande triestino di nascita, Ernesto Nathan Rogers, possono aiutarci a leggere le pagine di questo libro, vincitore del Premio Strega nel 1997, che non sono il racconto di storie alte e di grandi paesaggi segnati dal fiume Danubio, ma sono piuttosto uno sguardo sui luoghi prossimi che ci circondano, sui fatti e le persone che lambiscono la Storia, storie semplici ma che non per questo meritano di non essere raccontate. Nel suo scorrere, diviene il libro con cui viaggiare con occhi nuovi, un invito per noi tutti a guardare i luoghi che visitiamo, o anche solo quelli che attraversiamo tutti i giorni, con uno sguardo rinnovato, capace di conoscere e magari di raccontare questi moti relativi; bisogna accogliere l’invito del geografo Amedeo Grossi riportato nell’esergo del libro, secondo cui il Mondo è ormai noto, ed è necessario scoprire e raccontare le sue Province.

E così può diventare un viaggio bellissimo di scoperte, il giardino pubblico nato per i bambini nella sua Trieste, dove in un flashback narrativo lo scrittore si rivede bambino ad attraversarlo con la sua ampolla contenente un pesciolino rosso vinto ad una lotteria parrocchiale e cercare di salvarlo liberandolo nello stagno del parco, e nel passeggiare fra aiuole ed alberi secolari imbattersi nei busti dei grandi triestini di nascita o adozione come Joyce, Svevo e Saba con i quali intessere un ideale dialogo che dura una vita intera; diventa interessante il viaggio di ritorno nel paese delle sue origini per la festa popolare di fine estate attraverso il quale riscopre le radici familiari e con esse i tratti delle persone delle valli friulane; o ancora il paesaggio lagunare e le sue isole tra Grado e Venezia, il monte Nevoso che segna il confine con la Slovenia, o ancora il paesaggio collinare, in quel Piemonte luogo di frontiera lungo le Alpi che diviene a poco a poco Stato, con i suoi sovrani che si succedono che “sono grandi eguagliatori, che ordinano e uniformano le diversità della frontiera.

Il confine, l’identità come elemento che segna e separa gli uomini, sono i temi che attraversano molte delle pagine di Magris, con nostalgia verso il mondo perduto della Mitteleuropa dove popoli, lingue, razze diverse convivevano sotto l’aquila bicipite della Cacania. Il primo capitolo del libro è dedicato al luogo dove lo scrittore trascorre ore a leggere e lavorare, dove riceve la posta ed i visitatori, lo storico Caffè San Marco a Trieste. Qui come a Vienna, il caffè è il luogo simbolo della vita sociale, precipitato di un mondo e dei valori che incarna, che si sono dissolti nella tragedia della Prima guerra mondiale, ultimo baluardo contro le patrie nate dalle trincee, che hanno necessità di segnare contorni, identità, rifuggendo dall’altro e dal diverso:
Il San Marco è un vero Caffè, periferia della Storia contrassegnata dalla fedeltà conservatrice e dal pluralismo liberale dei suoi frequentatori. Pseudocaffè sono quelli in cui si accampa un’unica tribù, poco importa se di signore bene, giovanotti di belle speranze, gruppi alternativi o intellettuali aggiornati. Ogni endogamia è asfittica; anche i college, i campus universitari, i club esclusivi, le classi pilota, le riunioni politiche e i simposi culturali sono la negazione della vita, che è un porto di mare.
Al San Marco trionfa, vitale e sanguigna, la varietà.

orlando di marino


 
 
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