L’eleganza è frigida

Goffredo Parise
Adelphi, Milano 2008


E’ un passo del poeta Saito Ryokuu a suggerire il titolo enigmatico ad un viaggio in Giappone che Goffredo Parise compie all’inizio dell’autunno del 1980 e che racconta sulle pagine del Corriere della Sera. Frigida come fredda ed altera è l’eleganza, frigida come distaccato dai sensi è l’artificio che avvolge molte espressioni della vita, del modo di presentarsi agli altri, finanche di parlare del popolo giapponese. Il paese che appariva come simbolo stesso della alta tecnologia, dei cartoni animati che invadevano le nostre televisioni e comprensibili solo ai bambini, appare agli occhi dello scrittore profondamente radicato nel suo passato, con riti consolidati, modi di vedere il mondo, la vita e la loro stessa società che non si lascia scalfire dagli aliti della contemporaneità.

In pagine fluide ed appassionanti, Parise racconta tante delle cose che saranno inconfondibilmente proprie di questo paese, come la enigmatica cerimonia del tè, appannaggio di una classe agiata che manda i suoi rampolli migliori a impararla in corsi universitari che durano anni, o il giardino dei templi zen di Kyoto con la sua ghiaia pettinata in forme che inducono alla meditazione; o ancora le lotte tra semidei nudi del sumo che si affrontano sul tatami in una danza che rimanda alla vita e alla concorrenza dentro la specie come forza che muove il mondo; o gli obi, le fasce che chiudono i kimoni e che emettono a seconda della seta con cui sono composti, del loro colore, della loro forma, uno scricchiolio particolare che racconta della persona che lo indossa, del suo ruolo, del suo prestigio. Ma c’è anche spazio e tempo per incontri particolari come quelli con due vedove molto singolari, quella della spia sovietica Richard Sorge dalla rocambolesca esistenza e dall’altrettanto tragica fine e quella dello scrittore Yasunari Kawabata, il primo giapponese ad aggiudicarsi il Nobel per la letteratura, incontri che testimoniano ancora una volta come sia possibile vivere accanto ad una persona senza conoscerla affatto.

In un paragrafo del libro, Parise incontra tre personaggi molto differenti per ruolo, storia e prestigio: il grosso imprenditore dell’acciaio Nagano, il signore dei motocicli Honda e il segretario del piccolo Partito comunista giapponese; a tutti e tre pone le stesse due domande, ossia se è giusto che il Giappone riprenda ad armare il proprio esercito in contrasto con le disposizioni della Costituzione post-bellica imposta dagli americani e dove finisce il plusvalore dell’elevato reddito dei giapponesi, e come questo in pratica non generasse conflitti sociali. Da tutti e tre, Parise riceve risposte non dissimili, facendo affiorare in lui il pensiero che il Giappone fosse il paese delle convinzioni radicate che rifuggono dalle mode della ideologia, una convinzione che emerge in un passo dove lo descrive come il paese della post-ideologia, un paese “postumo” ma non per questo meno reale:
Quei giapponesi, con i loro gradi morali, con i loro «inferiori-superiori» senza alcuna fede né ideologia erano già arrivati a quel dopo dove gli uomini non sono affatto uguali ma ognuno ha il posto che gli spetta. Di questo e di niente altro era fatto «il dopo», quel dopo che nel linguaggio del suo paese viene chiamato «progresso» e che egli sapeva invece ottenuto con il ricatto dell’invidia di classe, a quanto pareva inesistente nel paese dove si trovava.”
orlando di marino


 
 
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