Fondamenta degli Incurabili

Iosif Brodskij
Adelphi, Milano 1991


“…imparai che la qualità di un racconto non dipende dalla storia in sé, ma dal montaggio. Senza volere, finii con l’associare questo principio con Venezia.”

Uscendo dalla casa di Olga Rudge, la vedova di Ezra Pound, Iosif Brodskij si rifugia nella bellezza delle Fondamenta degli Incurabili, come ricompensa per lo spiacevole pomeriggio trascorso. Se alla parte recitata dall’ospite di negare ogni responsabilità del marito per la sua adesione al fascismo risponde con una battuta tremenda Susan Sontag, che lo accompagna nella visita, Brodskij riflette sul valore degli scritti del poeta americano, caratterizzati a suo dire da un scialbo estetismo, che lo condannerebbe tra i poeti da non ricordare se non fosse per il nome stesso dell’autore. Ne metterebbe in commercio il corpus dei suoi scritti senza una colta introduzione per valutarne l’effetto sul pubblico, nella convinzione che il suo “Far Nuovo”, altro non fosse che un imbellettare cose molto vecchie, da istituto di bellezza più che da casa delle Muse; su tutto, a Pound rimprovera un dato che diviene grave a suoi occhi per una persona che è vissuta in Italia, ossia non aver compreso pur vivendo qui, che la bellezza non è mai un fine a sé stante, “ma risulta sempre essere effetto secondario di altre ricerche spesso molto normali”.

La bellezza è l’elemento che attraversa queste pagine dedicate alla città di Venezia, la bellezza è l’elemento con cui ci si confronta attraversando questa città, che ti spinge al tuo arrivo a rinnovare il guardaroba, per metterti in pari con essa, perché qui tutto è in mostra, e ciascuno di noi conosce i punti deboli del proprio aspetto esteriore. Per diciassette anni lunghi anni, a partire dal 1972, la data del suo esilio dall’Unione Sovietica, il premio Nobel per la letteratura del 1987, approfittando della pausa invernale di circa un mese dell’Università americana dove insegna, si reca nella città lagunare, per scrivere e tradurre. Ogni inverno, perché i colori sono più vivi in questa stagione, e alle basse temperature è più facile confrontarsi con la bellezza, sentire “l’odore delle alghe marine sotto zero”. Ogni anno, perché l’Italia è “un sogno che continua a ripresentarsi per il resto della vita”, come dice citando la Achmatova, e lui più che aspettarlo, preferisce presentarsi al cospetto del sogno.
Bellezza, sogno, amore sono i termini ricorrenti di un racconto da cui non traspare alcuna atmosfera di decadenza: l’animo di Gustav von Aschenbach non aleggia in Brodskij, che vive il rapporto con questa città in maniera forte. L’acqua è il tempo, cangiante nella forma, con il quale lo spazio della città e le sue architetture dialogano. E’ un dialogo impari, un gioco dove lo spazio per cercare di continuare la partita può calare sul tavolo solo il suo asso nella manica, la bellezza appunto. In questo dialogo senza fine tra le mura veneziane e l’acqua, la città disegna la propria identità e il proprio stare nel mondo, come racconta lo scrittore nel capoverso finale:
“Ripeto: acqua è uguale al tempo, e l’acqua offre alla bellezza il suo doppio. Noi, fatti in parte d’acqua, serviamo alla bellezza allo stesso modo. Toccando l’acqua, questa città migliora l’aspetto del tempo, abbellisce il futuro. Ecco la funzione di questa città nell’universo. Perché la città è statica mentre noi siamo in movimento. La lacrima ne è la dimostrazione. Perché noi andiamo e la bellezza resta. Perché noi siamo diretti verso il futuro mentre la bellezza è l’eterno presente. La lacrima è una regressione, un omaggio del futuro al passato. Ovvero è ciò che rimane sottraendo qualcosa di superiore a qualcosa di inferiore: la bellezza all’uomo. Lo stesso vale per l’amore, perché anche l’amore è superiore, anch’esso è più grande di chi ama.”
orlando di marino


 
 
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