Il terremoto dell’Irpinia

Toni Ricciardi, Generoso Picone, Luigi Fiorentino
Donzelli editore, Roma 2020


“Infatti, secondo Jan Assmann, proprio i quarant’anni rappresentano la soglia critica a partire dalla quale la memoria collettiva comunicativa –- quella più libera e legata all’interazione sociale - inizierebbe a codificarsi in una memoria propriamente culturale, più formalizzata e soprattutto istituzionalizzata.”

Le riflessioni di Assmann riportate dagli autori aiutano a tracciare il confine di questo libro, conferendo al contempo un senso al quarantennale del terremoto del 23 novembre 1980; quaranta anni è la giusta distanza temporale per una riflessione diversa su un evento, per sottrarlo alla retorica del ricordo e collocarlo in un più diffuso momento collettivo di elaborazione delle esperienze fatte e di costruzione di un modello di intervento che non spinga “a ricominciare da zero a ogni devastazione avvenuta”. Si muove su questa sottile soglia il testo scritto a sei mani da autori diversi per formazione e ruolo, che cercano di collocare la storia di questo territorio, dell’Irpinia, e quanto avvenuto in quella sera e da quella sera, in un più ampio contesto nazionale.

La terra che trema è una vecchia storia per l’Irpinia: 1910, 1930, 1962, le altre tappe di una tragedia naturale che si ripropone senza lasciare consistenti tracce nella memoria collettiva: la rimozione costituisce anzitutto un meccanismo di autodifesa per chi resta e sa dentro di sé che dovrà convivere con un rischio, ma diviene anche per Toni Ricciardi rimozione di una colpa collettiva se a crollare in quella sera, sono quei fabbricati che pure erano stati costruiti dopo il 1974 e dunque dopo l’introduzione delle prime normative antisismiche per le costruzioni; nel suo saggio, la storia dei terremoti dell’Irpinia viene ancorata alla più complessiva storia della emigrazione, fornendo interessanti spunti di riflessione e di analisi sulla cosiddetta “generazione del prefabbricato”, ossia di coloro che sono nati e cresciuti nel contesto delle strutture provvisorie messe in essere dopo il terremoto: ne traccia un quadro identitario, racconta dei gruppi musicali che si sono formati, le nuove forme di comunicazione, i giornali on line, i siti dei social attraverso cui questa generazione racconta la propria esperienza e con essa i problemi del presente.

Luigi Fiorentino analizza come in relazione al sisma si sia evoluta la normativa nazionale, a partire dalla nomina di un Commissario per gestire la fase di emergenza all’indomani stesso del terremoto, il 24 novembre 1980, con una cospicua dote finanziaria che superava i 1500 miliardi di lire, con gestione fuori bilancio. Descrive i passaggi fondamentali di quella famosa legge 219/81, che costituisce ancora oggi un paradigma di riferimento per ogni intervento normativo in casi di calamità naturali, che conteneva le misure per la ricostruzione fisica dei comuni suddivisi in base all’entità dei danni subiti, quelle per le infrastrutture e per lo sviluppo economico della vasta area colpita. In questo quadro, il peso della ricostruzione dopo la prima fase emergenziale passò sulle spalle dei comuni cui spettava il compito della definizione dei piani di recupero per la ricostruzione e soprattutto la definizione e l’erogazione di quello strumento che ha assunto una dimensione quasi taumaturgica, collocandosi nella sfera della lotta politica e delle diatribe di paese, ossia il “contributo” per la ricostruzione delle case private danneggiate. Il sisma del 1980 ha portato, come noto, alla definitiva costituzione della struttura della Protezione Civile nel 1982 e alla istituzione della rete di monitoraggio sismica nazionale nello stesso anno.

Sottrarre la narrazione del terremoto ai temi della lotta politica che gravarono sul racconto dello stesso, condensate nelle vicende dell’Irpiniagate, è l’intento su cui si muovono gli autori, i quali pur riconoscendone i limiti ne abbozzano una valutazione positiva della ricostruzione in questo territorio. Un fiume ingente di risorse, 60.000 miliardi di lire (di cui si calcola che un quarto sia stato speso per parcelle tecniche), secondo un meccanismo autorigenerante che accomunava il cosiddetto “partito della spesa pubblica”, le infiltrazioni della camorra, lo spreco in inutili opere pubbliche, le truffe delle imprese che avevano ottenuto finanziamenti per insediamenti industriali mai avviati; ma anche, in positivo, la costruzione di un patrimonio edilizio privato dove tutti hanno potuto vivere con dignità, alcune opere infrastrutturali importanti che hanno avvicinato questi territori ai centri più importanti rompendone l’isolamento, l’insediamento di alcune importanti realtà industriali che tuttora sono presenti, e che permisero negli anni ottanta una inversione di tendenza del fenomeno migratorio. A Generoso Picone, che ha seguito per anni le vicende le terremoto da giornalista de Il Mattino, il compito di aggiornare una riflessione sull’accaduto, di descrivere come la vicenda del “dopo” abbia profondamente inciso sul dolore dei morti e della distruzione di quella sera, determinandone quasi una rimozione, ma soprattutto di denunciare l’effetto straniante di quanto realizzato da una classe tecnica poco attrezzata, da una coscienza civica collettiva che in quelle opere puntava per un processo di palingenesi, e che invece ha prodotto una progressiva perdita di identità.

Scrive in un passaggio:
“La verità è che risulta assai difficile comprendere quale traccia di valore – se non di senso - architettonico si trovi in un paesaggio in gran parte sfigurato da interventi imponenti finanziati con milioni di euro. Appare decisamente complicato fino all’impossibilità comprendere l’efficacia sociale, il segno culturale, l’intento politico; a meno che non si voglia cercarlo nella strategia della convenienza che ha dominato questo imponente investimento di fondi pubblici e privati nel Mezzogiorno, ridotto a una riedizione aggiornata e non corretta dell’intervento straordinario degli anni precedenti, diventato il paradigma dell’economia della catastrofe. Quella i cui esiti, in un ripetuto monumento allo spreco, sono esposti oggi in ogni paese, in ogni borgo, in ogni contrada, in ogni vallata e su ogni collina. Opere pubbliche e realizzazioni private tra gigantismo opportunistico e deliri geometrili che stanno a manifestare il disprezzo e l’offesa verso lo spirito dei luoghi; certo povero, magari ammaccato e precario nell’attraversamento dei secoli e delle contingenze della Storia e del Tempo. Però autentico, distintivo, identitario.”
orlando di marino

 
 

Con la recensione di questo libro, riprende la nostra sezione del sito dedicato alle proposte di lettura. Durante la prima fase emergenziale del Covid-19 abbiamo privilegiato libri che parlassero di viaggi, quasi a sublimare con l’immaginazione i viaggi che eravamo impossibilitati a fare nella realtà.

Questa sezione del sito sarà in particolare dedicata ad accompagnare le tematiche e le proposte di “dialoghi” dell’assessorato, suggerendo testi che possano aiutarci a comprendere la realtà che circonda il nostro lavoro.

Iniziamo, proponendovi una serie di testi connessi al quarantennale del terremoto del 23 novembre del 1980, tema che impronta in questa fase la sezione DIALOGHI del sito.

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